Culto 16/12/2018 - 3° d'avvento

di Mauro Pons pubblicato il 16/12/2018 22:44:35 in culto 331

Luca 3 , 7 – 18

Giovanni dunque diceva alle folle che andavano per essere battezzate da lui: «Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l'ira futura Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento, e non cominciate a dire in voi stessi: "Noi abbiamo Abraamo per padre!" Perché vi dico che Dio può da queste pietre far sorgere dei figli ad Abraamo. Ormai la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero dunque che non fa buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco». E la folla lo interrogava, dicendo: «Allora, che dobbiamo fare?». Egli rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».

Vennero anche dei pubblicani per essere battezzati e gli dissero: «Maestro, che dobbiamo fare?». Ed egli rispose loro: «Non riscuotete nulla di più di quello che vi è ordinato». Lo interrogarono pure dei soldati, dicendo: «E noi, che dobbiamo fare?» Ed egli a loro: «Non fate estorsioni, non opprimete nessuno con false denunce, e contentatevi della vostra paga».

Ora il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro se Giovanni fosse il Cristo. Giovanni rispose, dicendo a tutti: «Io vi battezzo in acqua; ma viene colui che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei calzari. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il suo ventilabro per ripulire interamente la sua aia e raccogliere il grano nel suo granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile». Così, con molte e varie esortazioni evangelizzava il popolo;

Un pensiero dalla predicazione

Luca colloca la predicazione di Giovanni Battista tra la manifestazione dell'acume intellettuale e teologico di un Gesù dodicenne e la manifestazione dell'adozione dell'uomo Gesù da parte di Dio Padre, nel momento in cui riceve il battesimo di ravvedimento, di cui lo stesso Giovanni Battista si è fatto fautore. E' il tempo che sta tra l'annuncio delle promesse, che Dio ha fatto e fa al suo popolo, e il tempo della loro realizzazione: è il tempo della nostra vita.

Natale non ci aiuta a riflettere sulla nostra vita, piuttosto, sposta la nostra attenzione su un'altra vita, accende i riflettori sul Bambino Gesù, sulla sua graziosa famiglia, sulla messinscena del contorno, sia esso quieto e gioioso come i pastori di Betlemme, i quali si raccolgono intorno alla famigliola, vedendovi chissà che cosa, sull'arrivo dei magi, saggi potenti, i quali si inchinano al bambinetto, sia esso terribile, spaventoso e crudele come l'eccidio dei bambini innocenti e coetanei di Gesù, trucidati dalla banda di teppisti, soldataglia al servizio di Erode, episodio che si conclude con la partenza di Giuseppe e la sua famiglia in Egitto, come profughi, come migranti, quelli che, in tutti i tempi, si sono messi in cammino per sfuggire alla fame, alle ingiustizie politiche, alla povertà e alle diseconomie delle potenze imperiali. Tempo nostro in cui qualcosa di importante che è accaduto, l'incarnazione di Dio, è alle nostre spalle, un tempo di attesa perché il ritorno del Cristo Risorto è ancora davanti a noi. Cosa ci dice allora questo testo? Di guardare alla nostra storia e a quello che siamo diventati grazie all'amore di Dio: persone oneste che grazie al loro lavoro sono diventate benestanti, non ricche, ma certamente non più povere come i nostri nonni; persone religiose, ma non più così ferme nella nostra confessione di fede, per cui spesso incapaci di portare frutti di ravvedimento; persone che vivono nella paura, incapaci di reagire alla violenza che ci circonda con gesti di comunione e crescita comune. Natale come tempo per riprendere in mano la nostra esistenza alla luce della speranza di cui quel piccolo fanciullo è il primo, inequivocabile segno.


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